mercoledì 20 marzo 2013

La Spagna e' malata

Il malessere spagnolo potrebbe essere più profondo del baratro economico

All’inizio di questo mese, i vertici del potere giudiziario della Spagna hanno costretto alle dimissioni il Procuratore generale dello Stato in Catalogna. Non si tratta di un incarico elettivo, bensì di un funzionario pubblico nominato dalla capitale, tradizionalmente un non-catalano. L’ultimo che lo ha rivestito è stato licenziato sommariamente appena poche ore dopo aver affermato in un’intervista a un’agenzia di stampa che “al popolo deve essere data l’opportunità di esprimere la sua volontà”. Sembrerebbe una dichiarazione abbastanza innocua, ma si dà il caso che sia stata fatta nel contesto del dibattito sul diritto dei catalani a decidere sul loro futuro politico. Forse proprio per questo motivo il procuratore generale aveva subito precisato che intendeva “in generale, qualsiasi popolo”, dopo aver chiarito che non c’è in Spagna “un quadro legale che consenta un referendum per l’indipendenza”. Tutto chiaro e alla luce del sole, si direbbe. Eppure, la mera allusione implicita al fatto che forse dovrebbe essere trovato un modo per consentire ai catalani di dire la loro, ha trasformato ciò che era sostanzialmente un’ovvietà in un proclama incendiario, facendo cadere in disgrazia il procuratore. Questo è quanto, per quel che riguarda l’indipendenza della magistratura – per non parlare della libertà di manifestazione del pensiero.

Un mese prima, un generale in riserva dell’esercito spagnolo, durante una riunione formale di alti gradi dell’esercito, aveva parlato dell’ “offensiva separatista-secessionista in Catalogna”, esponendo le sue riflessioni sulla posizione che le forze armate avrebbero dovuto eventualmente assumere. “La Patria è più importante della democrazia”, aveva concluso, “il patriottismo è un sentimento, mentre la Costituzione non è nient’altro che una legge”. La platea aveva salutato con applausi ciò che facilmente potrebbe essere letto come un invito a trasgredire le leggi, o perfino come una giustificazione per un colpo di Stato militare. Come già accaduto con dichiarazioni simili effettuate da altri nel recente passato, anche quest’ultima non ha ricevuto risposte significative da parte della autorità civili.

Questi due eventi – e le reazioni ufficiali assai diverse che sono seguite – evidenziano difetti fondamentali nel funzionamento di uno stato democratico, e suggeriscono che i problemi della Spagna potrebbero andra ben oltre l’economia, che notoriamente versa in uno stato critico. In entrambi i casi, il detonatore è la Catalogna.

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In Spagna oggi la situazione economica è disperata, e non c’è alcun vero progetto per il futuro che non passi per la persistente spoliazione di poche comunità produttive ad opera dello Stato centrale per garantire la propria sopravvivenza. Molti catalani credono che l’attuale modello politico minacci di rovinare la loro economia, spazzare via la loro cultura e in definitiva provocare la loro irrilevanza come nazione. Negli ultimi tempi la gente ha mostrato sempre meno inibizioni nell’esprimere il suo malcontento rispetto a questo stato di cose. Anche i rappresentanti politici sembrano aver abbandonato la loro linea politica tradizionale volta a evitare il confronto. In risposta a una diffusa domanda della popolazione, hanno proposto una nuova linea d’azione che potrebbe portare – se il popolo lo deciderà – a una separazione dalla Spagna. I catalani vorrebbero che questo fosse un processo negoziato, graduale, pacifico e pienamente democratico, e hanno offerto di discuterne le modalità con il governo spagnolo. Ma finora, tutte le aperture sono state respinte con sdegno. La linea ufficiale a Madrid resta che la legge, così com’è, dev’essere applicata in modo severo, e una stretta interpretazione della Costituzione del 1978 viene utilizzata per impedire, fra le altre cose, la possibilità di chiedere al popolo catalano la sua opinione in un referendum.

Nel frattempo, la rinnovata determinazione dei catalani ha risvegliato i peggiori istinti di uno Stato che si sente minacciato. Mentre da fuori cerca di mostrarsi imperturbabile, il governo spagnolo sta usando ogni stratagemma possibile per danneggiare l’amministrazione catalana e intimidire la popolazione. L’arma ormai familiare dell’asfissia finanziaria è ora accompagnata da un’offensiva politica e giudiziaria contro le istituzioni dell’autogoverno catalano e da una campagna di stampa mossa contro individui accuratamente selezionati. Inoltre, la destituzione d’autorità del procuratore mostra che il governo è determinato a mettere a tacere ogni espressione di dissenso anche all’interno dei suoi propri ranghi. Mentre una minaccia militare, vera o immaginaria, è mentenuta viva come parte di una strategia della paura.

Chi ha osservato dall’esterno gli ultimi sviluppi in Spagna si è generalmente concentrato sull’economia. Ma uno sguardo più approfondito alle strutture di sostegno politico dello Stato potrebbe rivelare che, anche nella sua incarnazione attuale di paese apparentemente democratico, la Spagna mantiene non poche delle abitudini autoritarie della dittaura da cui si è sviluppata. C’è qualcosa che davvero non va in un paese in cui l’appello di un generale alle forze armate affinché si pongano al di sopra della legge viene ignorato, mentre l’affermazione di un principio di democrazia tanto fondamentale come il diritto del popolo a esprimersi è punito come un atto di sedizione.
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